Ryokan, onsen e gaijinn (Parte seconda)
Kinosaki, ore 18.00
Mi siedo sul pavimento e contemplo quello che c'è davanti a noi, fortunatamente comincio ad avere una certa dimestichezza con la cucina nipponica, anche se questa è kaiseki e sono di fronte ad un pasto tradizionale, composto da tante piccole portate, ognuna con il suo nome e le sue caratteristiche, che seguono un ordine preciso e sono presentate in piatti singoli per esaltare gusto ed estetica.
Terminata la cena la cameriera ritorna, sparecchia e srotola i futon sul pavimento poi si congeda. Guardo il coloratissimo yukata che dovrei indossare. Ci riprovo. Questa volta non c'è una cintura, ma tre. La più alta di sicuro è l'obi, ma le altre due non so come si mettono. È troppo lungo, andrebbe rimborsato per farlo della lunghezza giusta, ma è troppo complicato. Che amarezza, scattiamo almeno qualche foto ricordo.
L'acqua è caldissima. Pur essendo abituata all'acqua termale e alle saune non riesco a rimanere immersa per troppo tempo perchè mi sento svenire. Mi rinfresco con la doccia fredda e dopo mezz'ora esco. Fuori e le addette ci riconsegnano i nostri geta (ma come li distinguono?) e decidiamo di continuare il giro. Adesso tocca al bagno Ichinoyu.
La dinamica è sempre la stessa. Ci separiamo, ci laviamo, facciamo il bagno, ogni tanto ci rinfreschiamo, ci rivestiamo ed usciamo. Ogni stabilimento è particolare: l'Ichinoyu ha la vasca esterna in una grotta. Proviamo anche il Mandarayu che ha la vasca idromassaggio interna e una vasca in legno esterna. Scopro che l'asciugamanino bianco mi sarebbe servito anche per asciugarmi in modo da non entrare grondante negli spogliatoi.
Alla fine arrivano le 23 e torniamo in ryokan, mi aspetta il futon che è sorprendentemente comodo e mi addormento beata tra il profumo dei tatami.
Mi siedo sul pavimento e contemplo quello che c'è davanti a noi, fortunatamente comincio ad avere una certa dimestichezza con la cucina nipponica, anche se questa è kaiseki e sono di fronte ad un pasto tradizionale, composto da tante piccole portate, ognuna con il suo nome e le sue caratteristiche, che seguono un ordine preciso e sono presentate in piatti singoli per esaltare gusto ed estetica.
Oltre ad un granchio zuwaigani di dimensioni spropositate c'è il manzo shabu shabu con l'accompagnamento, due salsine, una ciotolina con all'interno cibo sconosciuto non meglio identificato e un piattino con tanti piccoli assaggini che suppongo sia l'antipasto. La cameriera ci porta il te, ci accende il fornellino del nabemono e ci lascia. Qui inizia il panico.
La mia autonomia seduta in posizione seiza (la posizione tradizionale, con i glutei appoggiati sui talloni) non dura nemmeno cinque minuti, la cena è disposta su tre vassoietti posti a terra su delle gambine alquanto traballanti, ho paura di sporcare il pavimento e i fornellini producono due fiammoni esagerati mentre sono circondata da tatami in una stanza di legno e carta. Il disastro è in agguato. La scomodità, mi duole ammetterlo è unica. Ma l'idea di spostarmi nel tavolino occidentale è fuori discussione, devo farcela.
E naturalmente mangerò tutto con le bacchette, come sempre. Il cibo non è male, anche se il manzo è qualitativamente inferiore a quello di Kobe e certi sapori sono forti.
Si comincia con il sakizuke, l'antipasto che consiste in pesciolini e sottaceti (c'è di nuovo una lumaca), il granchio è l'hassun, la seconda portata principale a tema stagionale.
Il cibo sconosciuto nella ciotolina rimane non meglio identificato: è verde, ha la consistenza del caco ed è un po' strano, potrebbe essere hiyashi-bachi, una portata fredda a base di verdure. In una ciotola c'è un brodino leggero che è il naka-choko, un intermezzo. Il manzo shabu shabu è lo shiizakana. La cameriera ritorna e ci porta il mukozuke, del sashimi, una specie di creme caramel al pesce (il chawanmushi, una crema a base di uova e brodo dashi cotta a vapore) e il gohan, il riso. Arrivo al granchio delle nevi, una specialità tipica invernale e mi arrendo, l'eleganza giapponese non mi appartiene, abbandono lo strumentino in dotazione per spolparlo e lo mangio con le mani, vale la pena sporcarsi un po'.
Conta come figuraccia da gaijin se nessuno mi ha visto?
I bagni termali sono aperti fino alle 23, controlliamo su internet e scopriamo che fortunatamente le vasche sono miste e col costume, che sollievo. Usciamo.
Con i nostri vestiti questa volta, peró gli zoccoli li mettiamo lo stesso.
Di sera Kinosaki è veramente uno spettacolo suggestivo. Scegliamo il primo bagno termale, il Goshonoyu ed entriamo. All'ingresso due incaricate ci fanno togliere i geta e li mettono da parte. Gli spogliatoi sono divisi, a sinistra le donne e a destra gli uomini.
Ovviamente non si entra in costume, ma nudi. La zona maschile e quella femminile sono separate ed in entrambe ci sono una vasca esterna scavata nella roccia con vista su una cascata, una interna e la sauna. Inizialmente è un po' imbarazzante, cerco di fare tutte le cose per bene per non offendere nessuna (mi sono di nuovo dimenticata l'asciugamanino bianco al ryokan), ma una volta che comincio a rilassarmi è veramente piacevole.
L'acqua è caldissima. Pur essendo abituata all'acqua termale e alle saune non riesco a rimanere immersa per troppo tempo perchè mi sento svenire. Mi rinfresco con la doccia fredda e dopo mezz'ora esco. Fuori e le addette ci riconsegnano i nostri geta (ma come li distinguono?) e decidiamo di continuare il giro. Adesso tocca al bagno Ichinoyu.
La dinamica è sempre la stessa. Ci separiamo, ci laviamo, facciamo il bagno, ogni tanto ci rinfreschiamo, ci rivestiamo ed usciamo. Ogni stabilimento è particolare: l'Ichinoyu ha la vasca esterna in una grotta. Proviamo anche il Mandarayu che ha la vasca idromassaggio interna e una vasca in legno esterna. Scopro che l'asciugamanino bianco mi sarebbe servito anche per asciugarmi in modo da non entrare grondante negli spogliatoi.
Alla fine arrivano le 23 e torniamo in ryokan, mi aspetta il futon che è sorprendentemente comodo e mi addormento beata tra il profumo dei tatami.